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Immagine del redattore Paola Annita Pagliari

Lidia Macchi III parte


Le perquisizioni

A casa di Binda vengono eseguite numerose perquisizioni.

Durante quella del 25 settembre 2015 vengono anche sequestrate un’agenda verde del 1987, dove nei primi giorni c’è scritto “Sestriere” e il giorno 7 “Lidia”, ed un’agenda marrone del 1983 contenete fogli manoscritti. Tra le carte di Stefano viene anche ritrovata una foto di Lidia. Vengono trovati anche dei fogli con delle prove di scrittura, dove Stefano scrive la stessa parola ma con grafie diverse. Ancora più importante è l’agenda beige del 1986 contenente un foglietto che riporta una versione di greco di Plinio del programma scolastico, sul cui retro è riportata la frase ormai diventata famosa: “Stefano è un barbaro assassino”. Frase che, fuor di contesto, davvero può voler dire qualsiasi cosa. Ad esempio, mio papà, quando mi vedeva tradurre dal latino, mi diceva che ero un’assassina.

Vi era anche un altro foglio che però non è stato decifrato. E che sarà stato mai? Un codice segreto? Non capisco in cosa poteva risiedere la difficoltà nel “decifrarlo”. Importante viene anche ritenuto, tra gli altri, il retro di una tavola pitagorica dove si trovavano dei disegnini che si trovavano anche nella parte superiore della borsa di Lidia. Borsa andata “distrutta”. Viene repertato anche un quadernetto ad anelli in carta riciclata, in cui l’originale “In morte di un’amica” si inserisce perfettamente. Era forse l’unico esemplare di quadernetto in carta riciclata esistente su questa Terra?



La vacanza a Pragelato

Gli agenti della Squadra Mobile escutono numerosi testi per ricostruire la vacanza a Pragelato-Sestriere alla quale Binda diceva d’aver partecipato nei giorni dall’1 al 6 gennaio 1987.

Si legge in sentenza: “E’ emerso che la vacanza si era effettivamente svolta, ma che non era stato compilato alcun elenco dei partecipanti- cercato e non rinvenuto presso gli uffici di C.L.. Non è stato possibile effettuare accertamenti ulteriori perché il computer, che avrebbe potuto contenere dati relativi alla vacanza, era stato rubato in occasione di un furto presso la sede di C.L. nel 1999”. Che caso.

Gli inquirenti ascoltarono una cinquantina di persone e pare che solo uno di essi, Donato Telesca, ricordasse la presenza di Binda il primo giorno della vacanza, in quanto entrambi non sciatori si erano fermati al bar.

“Complessivamente i testi non hanno ricordato Stefano, né in viaggio in pullman all’andata, né al ritorno, né sugli impianti da sci, né in stanza”. Ma se tutti sciavano e lui no, ovvio che non se lo ricordassero sugli impianti. E se era un tipo piuttosto schivo, forse la sua presenza non sarà stata di particolare interesse neanche in pullman.

Binda aveva poi indicato Luca Guzzanti, in particolare, ma egli non ricordò la presenza di Binda.

Spunti investigativi

Ma quali furono gli “spunti investigativi” che portarono al rinvio a giudizio di Binda?

1)Il ritrovamento della poesia di Cesare Pavese, manoscritta da Lidia (Vi è assoluta certezza della provenienza dello scritto? La grafia è certamente di Lidia? n.d.r.), definito dalla Bianchi “cavallo di battaglia” di Binda;

2)Le stelline poste al termine della lettera stessa;

3)Il richiamo delle parole “grida di dolore” che ritornano sia nella lettera d’amore scritta da Lidia, che nello scritto anonimo “In morte di un’amica”;

4)i sillogismi citati da Lidia nella lettera d’amore trovata nella sua borsa, in quanto Binda stesso era solito parlare di sillogismi e comporli, come riferito dalla solita Patrizia Bianchi;

5) una lettera scritta dalla ragazza quattro mesi prima della maturità, intitolata: “Come mi fa male tutta quella presunzione”, lettera consegnata agli inquirenti dalla mamma di Lidia. E’ la descrizione di un amore impossibile, tormentato, che richiama molto quello descritto nella lettera ritrovata nella sua borsa al momento del ritrovamento del corpo.

Oserei dire, comunque, che qualche lettera a qualche “amore impossibile” l’abbiamo scritta più o meno tutti, in gioventù.

6)Don Marco Ballarini, all’epoca dei fatti parroco di Brebbia, dichiarò che, poco dopo l’omicidio, Giuseppe Sotgiu aveva espresso a lui e a Binda la propria preoccupazione per non essere in grado di fornire un alibi per la sera del 5 gennaio. Binda disse che erano insieme al solito bar.

6) Il 12 febbraio 2016 si presenta presso i carabinieri di Besozzo tale Tiziana Comencini e racconta di una violenta reazione di Binda in occasione di un viaggio verso il Sass Pinin per consumare droga: Binda non volle andarvi dicendo in modo estremamente violento che là era stata uccisa una suo amica. La Comencini raccontò anche che una sera, guardando la tv con Binda, comparve la notizia delle indagini su Piccolomo, riferite a Lidia. Binda commentò la notizia dicendo che anche lui quella sera sarebbe dovuto andare a trovare la Bonari in ospedale, ma non era riuscito per un contrattempo.

E’ molto interessante analizzare gli elementi probatori che hanno portato alla condanna di Stefano Binda. Anche in questa fase seguiamo lo schema della sentenza.


Elementi probatori. a) Prove testimoniali

a1) sulla persona di Lidia Macchi

Quando viene uccisa Lidia era al secondo anno di Giurisprudenza presso la Statale di Milano. Apparteneva agli Scout come guida delle Coccinelle. Faceva parte di C.L., durante il liceo aveva assiduamente frequentato il gruppo di Gioventù Studentesca di Varese, guidato da don Fabio Baroncini.

Maria Pia Telmon, Nicoletta Buzzetti e Paola Bonari erano tra le sue migliori amiche. Non era fidanzata, né frequentava qualcuno in particolare. Trapela solo questo “amore impossibile”. Secondo la sentenza “l’aspetto sentimentale della vita di Lidia è importante per ricostruire gli eventi del 5 gennaio 1987, specialmente considerando che Lidia aveva consumato il primo rapporto sessuale della sua vita poco prima di morire”.

In realtà, questo è uno degli aspetti più controversi della vicenda.

Lidia viene considerata una ragazza sveglia, molto attiva, che mai avrebbe fatto salire in auto un estraneo, soprattutto di sera.

La madre di Lidia conosce Binda solo dopo la morte della figlia, in occasione dell’ordinazione di Sotgiu.

Secondo lo stesso Sotgiu la lettera anonima non l’ha scritta Binda, perché non è redatta con uno stile che utilizzava all’epoca il ragazzo. «Tale poesia è una poesia lineare e non rientra nello stile di Stefano – aveva detto in precedenza Sotgiu confermandolo in aula – Questi era più conciso, scriveva poesie ermetiche mentre tale poesia è prolissa». E non è neanche la confessione di un delitto: «Lo dissi fin dall’inizio che questo è lo scritto di una persona di fede che cerca di consolare…con la consolazione della fede… la famiglia di Lidia». Altro che confessione.

Alcune amiche riferiscono che Lidia, contrariamente al suo solito, durante quel periodo era triste. Forse si era interessata al problema della tossicodipendenza, infatti aveva anche scritto una poesia avente ad oggetto i drogati.

Una ragazza perfettamente in linea con i sentimenti ed i turbamenti di quell’età. Qualche conoscente che finisce nel brutto giro della droga, il desiderio di conoscere meglio, da lontano, il fenomeno, magari la voglia di aiutare. Nulla di strano. Allora perché è stata uccisa?


Furono proprio i genitori di Lidia a pensare subito che la lettera “In morte di un’amica” fosse stata scritta dall’assassino o da qualcuno che vi aveva assistito, a causa di alcuni brani che li avevano molto colpiti. Per primo il riferimento al “velo strappato”, che poteva alludere alla sua verginità. Poi la descrizione del “cielo stellato” che sembrava corrispondere perfettamente alla condizione meteo della notte dell’omicidio. Insomma, tante suggestioni, ma nessuna prova.

Secondo Paolina Bettoni la figlia era innamorata di Angelo Sala, con il quale però non vi era alcuna relazione sentimentale.

Il padre Giorgio Macchi, poi deceduto, riferì che secondo lui l’assassino era persona ben conosciuta dalla figlia e che Lidia, nei giorni in cui erano in vacanza insieme, era preoccupata, ma non per questioni riguardanti lo studio a o la salute, ma per un problema sentimentale.

Secondo i genitori, il pomeriggio del 5 avrebbe dovuto avere un appuntamento alla stazione di Casbeno, ma non si era presentato nessuno.

Macchi fece una sua ricostruzione dell’accaduto: la persona con cui Lidia aveva appuntamento aveva calcolato che lei avrebbe preso il treno delle 17.15 per andare a Cittiglio a trovare la Bonari e probabilmente contava di offrirle un passaggio all’uscita dell’ospedale. Se costui fosse stato la persona che impensieriva la giovane, lei avrebbe “accettato di seguirlo e di farlo salire sulla sua auto” per chiarire. “Nella foga di discutere con questa persona, potrebbe non esserci accorta della direzione imboccata dal soggetto, generando nell’uomo la reazione che mai lei si sarebbe aspettata e cioè quella di pretendere con la minaccia di un coltello un rapporto che Lidia, altrimenti, non gli avrebbe concesso”.

La fantasia, sinceramente, si spreca. La coerenza assai meno. Tanto per cominciare: chi guidava?

Per Macchi la figlia avrebbe forse reagito se fosse stata minacciata da uno sconosciuto, mentre avrebbe assecondato l’uomo se fosse stato a lei noto, per salvarsi la vita. «Successivamente, però, piena di rabbia e di sdegno per quanto accaduto, avrebbe negato di assicurare il segreto sull’avvenimento, così scatenando la furia omicida dell’uomo».

A detta del padre, Lidia non avrebbe certo pianificato un rapporto sessuale con quelle modalità, certo non con una persona che la metteva in agitazione e malumore. Sospettava di don Antonio Costabile.

La cosa singolare è che queste considerazioni di Macchi non emersero subito, ma solo anni dopo, nel 1999 durante una trasmissione televisiva.


Le amiche di Lidia

Sulla persona di Lidia vengono sentite anche le amiche. In particolare Maria Pia Telmon, che faceva parte dell’equipaggio di ricerca che ritrovò l’auto di Lidia la mattina del 7 gennaio 1986.

La sera precedente viene informata da un’amica del mancato rientro di Lidia. Si attiva allora per organizzare le ricerche. La sera stessa Telmon e Bechis organizzano una prima ricerca senza però oltrepassare il passaggio a livello di Cittiglio, oltre il quale si trova la località Sass Pinin. Tutti pensavano ad un incidente stradale, oppure che qualcuno avesse costretto la ragazza a salire in auto. Unanimemente escludevano che avesse potuto accettare passaggi da uno sconosciuto.

Il 7 mattina Mario Brusa organizza gli equipaggi di ricerca. La Telmon è con Bechis e la Ferraguto, sull’auto di Bechis. Girano nella zona intorno all’ospedale di Cittiglio, anche oltre il passaggio a livello. La Telmon chiede a Bechis se una Panda possa salire sulla stradina che avevano incrociato. Lui propone di provare e subito dopo una curva vedono l’auto. Istintivamente la Telmon scende, ma gli altri la trattengono e decidono quindi di tornare indietro in retromarcia. Si fermano a 20 metri circa. Telmon nota la portiera aperta lato passeggero e il cartone, ma non il corpo.

La teste Cristina Bettoni conosceva e frequentava sia Stefano che Lidia. Secondo lei i due si frequentavano ed erano amici. Secondo lei, Lidia era una ragazza capace di difendersi, non una “ingenuotta” che avrebbe fatto salire chiunque in auto.

La teste descrive Binda come il più intellettuale del gruppo.


Paola Bonari, invece, era molto amica di Lidia. A lei viene chiesto di deporre in merito a quanto saputo da Daniela Rotelli «in ordine alla confessione ricevuta da parte di un compagno di università, poi identificato in Lelio Da Fina». La Rotelli aveva raccontato alla Bonari che un giorno degli anni ‘90/’91 aveva incontrato Lelio che le avrebbe riferito di essere stato lui ad uccidere Lidia. «A detta della Bonari, era la prima volta che la Rotelli raccontava questo episodio a distanza di tanto tempo e precisamente in occasione dell’arresto di Binda. In precedenza non ne avevano mai parlato».

In aula Daniela Rotelli aveva resto una testimonianza molto sofferta.

Anche Lelio venne sentito e non ricordò di Daniela Rotelli. Era stato iscritto all’università statale di Milano negli anni ’81,’82, di essere stato di C.L., di aver frequentato Binda, Sotgiu, Lidia, la Telmon e la Bonari.


«La testimonianza di Lelio Da Fina ha reso evidente alla Corte l’infondatezza dei sospetti a suo carico; si tratta di persona mite, invalida civile, che non è mai stata titolare di patente».

Vogliamo soffermarci un attimo su queste affermazioni della Corte? Lelio è evidentemente simpatico ai giudici, Stefano no; è una persona mite, ma ciò di per sé non esclude che possa aver perso la testa; non guidava, ma non ci sono certezze sul fatto che l’assassino fosse al volante, anzi, tutto farebbe pensare proprio al contrario. Ma tant’è.

FINE TERZA PARTE

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