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Immagine del redattore Paola Annita Pagliari

QUANDO L’AVVOCATO E’ “INFEDELE”.


AVVIATO PRESSO IL TRIBUNALE DI PISA IL PROCESSO A CARICO DELL’AVV. ALESSANDRO CAPONE E DEL DOTT. ANDREA GABAGLIO.

ALL’AVVOCATO CAPONE VIENE CONTESTATO IL REATO DI INFEDELE PATROCINIO E DI CONCORSO CON IL DOTT. GABAGLIO DEL REATO DI CONCORSO IN FALSITA’ IDEOLOGICA IN CERTIFICATI.

Per chi non è pratico di leggi e giurisprudenza può risultare difficile sapere quali siano gli obblighi e i doveri degli avvocati e, aspetto molto importante, quali siano i propri diritti verso il legale che ha nominato.

Va precisato che non esistono corpi normativi dedicati appositamente a questa categoria, ma solamente la legge di regolamentazione professionale e il codice deontologico che, però, non è una vera e propria “legge” in senso formale. Quindi, per sapere i doveri che spettano all’avvocato è necessario rifarsi alle norme del codice civile che regolano il mandato, alle sentenze della giurisprudenza, in particolare, a quelle della Cassazione, e del Consiglio Nazionale Forense, organo di autoregolamentazione degli avvocati. Altre indicazioni possono essere tratte dalla deontologia che traccia delle linee, seppure molto generiche, alle quali deve improntarsi tutta l’attività e la vita privata del professionista.

Utile è anche la “Carta dei diritti del cliente”, messa a punto da tre siti italiani di informazione giuridica con l’obiettivo di tutelare gli interessi del consumatore e, allo stesso tempo, ridare all’avvocatura l’immagine di difesa dei diritti.



La vicenda giudiziaria appena avviata presso il Tribunale di Pisa a carico dei suddetti “imputati”, deve considerarsi particolarmente attuale e di certo interesse pubblico, in considerazione del fatto che, il nostro Governo è attualmente impegnato nell’annosa risoluzione delle problematiche legate alla lunghezza dei processi e dell’interruzione dei termini della prescrizione.

Storie di vita vissuta

Abbiamo fatto questa lunga premessa per far comprendere meglio una vicenda che, nella sordina delle cronache, è invece molto emblematica e il cui sviluppo potrebbe aprire la pista a molteplici risvolti. Seguendone le tappe balza subito all’occhio, a prescindere, la “rapidità” della macchina giudiziaria…

Correva l’anno 2009: una signora cinquantenne, abitante nel Comune di Pescia (PT), si rivolge all’Avv. Alessandro CAPONE del Foro di Pisa, con Studio in San Giovanni Alla Vena, al fine di essere tutelata legalmente in ordine ad una controversia di natura civilistica, in seguito alla quale lo stesso anno viene instaurata una causa civile presso il Tribunale di Pontedera.

Bisogna attendere il mese di ottobre dell’anno 2013 per vedere fissata un’udienza avanti il Giudice Magesta, udienza alla quale avrebbe avuto il diritto di partecipare la cliente dell’Avv. Capone, ma la mattina in questione, la donna, una volta giunta nei pressi del Tribunale di Pontedera, aveva contattato il proprio difensore di fiducia per farsi ovviamente accompagnare innanzi al Giudice, come da accordi precedentemente presi. Ma al di fuori del Tribunale l’ Avvocato non si vede, quindi la signora lo cerca telefonicamente e si sente rispondere che non sarebbe stata celebrata l’ udienza in quanto la stessa, su disposizione del Giudice, era stata rinviata ad altra data.

E già questo contrattempo sarebbe stato di per sé spiacevole, in quanto la donna avrebbe evitato di fare della strada per niente e di perdere tempo, ma il “bello” doveva ancora arrivare infatti a distanza di qualche mese la signora si vede notificare un atto di citazione a giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Pisa, mediante il quale l’ Avvocato Capone, tramite il proprio difensore di fiducia, chiedeva la sua condanna al pagamento di compensi professionali che, a dire dello stesso legale, non sarebbero stati onorati da parte della propria assistita.

Volendo vedere chiaro in tutta la questione, la donna chiese ed ottenne di poter visionare gli atti processuali, accorgendosi così del fatto che la famosa udienza che si sarebbe dovuta celebrare innanzi al Giudice Magesta era stata rinviata a causa del deposito, da parte dell’Avv. Capone, di un referto medico a firma di un Dottore con Studio in Pisa, nel quale veniva indicato che la propria cliente, dopo essere stata sottoposta a visita medica, era stata giudicata bisognevole di diversi giorni di riposo a causa di sopraggiunti problemi di salute.

Inutile sottolineare lo sconcerto di questa signora, non avendo mai conosciuto il medico in questione e non essendo stata mai sottoposta ad alcuna visita medica da parte dello stesso.

E siamo intanto arrivati al 2014, allorquando la donna, tramite il proprio difensore di fiducia Avv. Beatrice Giorgini del Foro di Pistoia, nel mese di novembre formalizza una denuncia nei confronti dell’Avv. Capone e del medico che aveva stilato il referto in questione, Dott. Andrea Gabaglio, ritenendo il proprio difensore di fiducia appunto proprio responsabile del reato di infedele patrocinio, per aver indebitamente utilizzato il falso referto medico al fine di ottenere il rinvio dell’udienza, lasciando completamente all’oscuro la propria assistita, e denunciando inoltre lo stesso legale ed il dottore in quanto ritenuti responsabili di aver concorso nella falsificazione materiale del referto medico.

In occasione del deposito della suddetta denuncia, veniva ovviamente richiesto l’immediato sequestro del referto medico in questione al fine di poter acquisire tale “determinante ed indispensabile elemento di prova”.

La signora inoltra anche una segnalazione ai Carabinieri di Pescia nella quale dichiara di aver verificato che l’Avvocato Capone, in occasione dell’avvio della causa civile, aveva preteso il pagamento di compensi professionali non solo già chiesti in occasione di un precedente giudizio, bensì anche inerenti ad attività professionali mai espletate.

Al fine di ottenere ulteriori elementi oggettivi di riscontro a sostegno delle accuse mosse nei confronti dell’Avv. Capone e del Dott. Gabaglio, l’Avv. Giorgini aveva svolto indagini difensive, tramite la consulenza del Maresciallo Capo Franco Pizzonia (C.do), libero professionista che da diversi anni compie attività di Consulenza Tecnica di Parte in materia di indagini di polizia giudiziaria ed indagini difensive.

Il Maresciallo Pizzonia, dopo essere riuscito ad individuare il necessario collegamento tra il Dott. Gabaglio e l’Avv. Capone, aveva rintracciato alcuni documenti realizzati e sottoscritti da entrambe i soggetti in questione, attività a termine della quale aveva incaricato il Perito Grafologo Anna Nocchi di Livorno di sottoporre a comparazione l’intera documentazione probatoria raccolta, al fine di poter risalire a chi appartenesse la calligrafia con la quale era stato realizzato il falso referto medico depositato dall’Avvocato Capone in occasione della suddetta udienza.

A conclusione del minuzioso esame svolto dalla Dottoressa Nocchi, era stato riscontrato un buon livello di compatibilità della scrittura con la quale era stato realizzato il referto medico in questione con la scrittura comparativa relativa all’Avv. Alessandro CAPONE.

Nel mese di novembre dell’anno 2017 l’esito di tale perizia e la relazione tecnica realizzata dal C.T.P. Pizzonia venivano depositati presso la Procura della Repubblica di Pisa, al fine di poter essere esaminati dal Pubblico Ministero Dott.ssa Flavia Alemi, Magistrato che nell’anno 2019 emetteva un decreto di citazione diretta a giudizio a carico dell’Avv. Alessandro Capone e del Dott. Andrea Gabaglio.

In buona sostanza, dalla data in cui è stata presentata la denuncia da parte della persona offesa alla data in cui è stato emesso dal Pubblico Ministero il suddetto decreto di citazione diretta a giudizio sono trascorsi già cinque anni.

Tutto ciò accadeva, nonostante il fatto che, secondo la vigente giurisprudenza le indagini preliminari dovrebbero durare per un periodo massimo di sei mesi, prorogabili al massimo per ulteriori dodici mesi.

E arriviamo finalmente ai giorni nostri: la mattina del 6 febbraio 2020 si è celebrata presso il Tribunale di Pisa la prima udienza pubblica a carico dei due imputati, ritenuti responsabili di concorso in falsità materiale in atto pubblico ed infedele patrocinio, ovviamente per il solo Avv. Capone, che veniva difeso dal proprio legale di fiducia Avv. Andrea Di Giuliomaria.

All’udienza ha partecipato il Dott. Andrea Gabaglio, mentre è stata dichiarata la contumacia dell’Avv. Alessandro Capone a causa della propria omessa presentazione innanzi al Giudice.

In tale occasione l’Avv. Beatrice Giorgini del Foro di Pistoia ha depositato l’atto di costituzione di parte civile.

La “prossima puntata” di questa “tribunalnovela” sarà il giorno 18.06.2020, circostanza in occasione della quale il Tribunale provvederà alla citazione dei testi del Pubblico Ministero.

c’è da sperare, che a causa della gravità dei fatti contestati dalla Procura della Repubblica di Pisa agli imputati ed in virtù delle rispettive particolari professioni, la Giustizia possa riuscire a fare il proprio corso, senza essere “interrotta” a causa dell’intervento della prescrizione dei reati, lasciando ingiustamente impuniti i presunti responsabili, e nel totale sconforto la “persona offesa dal reato” e facendo finire tutto a prescrizione e vino…

Carta dei diritti del cliente

1. Il cliente ha diritto alla trasparenza e a essere reso edotto del curriculum vitae dell’avvocato, delle sue specifiche aree di competenza e dei percorsi formativi svolti.

Tale diritto è esteso anche a tutti coloro che collaboreranno nell’assistenza e che parteciperanno alle udienze in qualità di sostituti.

2. Il cliente ha diritto ad essere informato sui costi che dovrà affrontare per intraprendere il giudizio tenendo conto anche delle spese che potrebbe dover sostenere in caso di nomina di consulenti tecnici e di quelle che potrebbero rendersi necessarie in ogni grado del giudizio.

3. In conformità a quanto previsto dall’art. 13 comma 5 della legge 247/2012 il cliente ha diritto a richiedere un preventivo scritto sulla prevedibile misura del costo della prestazione.

4. Il cliente ha diritto di conoscere i rischi di una possibile soccombenza nonché di avere informazioni sulla concreta possibilità di dare esecuzione a eventuali provvedimenti favorevoli.

5. Il cliente ha diritto ad essere costantemente e tempestivamente informato sull’andamento della causa.

6. Il cliente ha diritto di ricevere le copie di tutti gli scritti difensivi anche delle altre parti in giudizio.

7. Il cliente ha diritto a essere informato sulle possibilità di intraprendere soluzioni transattive anche in corso di causa al fine di pervenire a una composizione bonaria della lite.

8. Il cliente ha diritto a ottenere la restituzione del fascicolo consegnato all’avvocato, con tutte le carte e i documenti, durante la causa o alla sua cessazione, anche se ancora non abbia corrisposto all’avvocato il relativo onorario per l’attività svolta.

9. Il cliente ha diritto, in caso di revoca dell’avvocato, ad avere una completa e dettagliata relazione sull’attività svolta, sullo stato della causa e sulla data di successiva udienza. Tale diritto non è subordinato al pagamento del compenso dell’onorario per l’attività svolta.

10. In caso di rinuncia al mandato da parte dell’avvocato, il cliente ha diritto di ricevere un preavviso adeguato alle circostanze e di essere informato su quanto è necessario fare per non pregiudicare la propria difesa.

11. Il cliente ha diritto a ricevere copia di tutti gli atti giudiziari depositati nel corso della causa nonché di tutta la corrispondenza inviata, in suo nome, dall’avvocato e di quella ricevuta. Il diritto si estende a tutti i provvedimenti del giudice emessi nel corso della causa, ivi compresa la sentenza finale.

12. Il cliente che sia stato ammesso al gratuito patrocinio non deve versare alcuna ulteriore somma all’avvocato, neanche a titolo di spese vive. In caso contrario ha diritto di contestare il comportamento del professionista al competente Consiglio dell’Ordine degli avvocati.

13. Il cliente ha diritto di conoscere tutte le circostanze di natura impeditiva tali da non consentire l’assunzione del mandato. Egli inoltre ha il diritto di essere messo al corrente dell’esistenza di possibili conflitti di interesse tra l’avvocato e le parti in causa (anche con riferimento a situazioni connesse ad altri incarichi professionali e non), che potrebbero compromettere lo svolgimento del mandato e il perseguimento del proprio interesse.

14. Il cliente ha diritto di sapere se, ai fini dello svolgimento del mandato, è necessaria l’integrazione di competenze oltre a quelle dell’avvocato difensore o, comunque, l’assistenza da parte di altri colleghi o tecnici (per esempio commercialisti, consulenti del lavoro, ingegneri ecc.). In questo caso il cliente ha il diritto di conoscere il profilo professionale di tali soggetti e prestare il consenso alla loro attività, anche se retribuiti dallo stesso avvocato cui è stato conferito mandato.

15. Il cliente ha il diritto ad essere informato sulla durata e gli oneri ipotizzabili del processo.

16. Il cliente ha il diritto ad essere informato circa i casi in cui la preventiva mediazione è obbligatoria e condizione di procedibilità per il giudizio; ha anche diritto a sapere che, comunque, la mediazione è possibile e facoltativa anche in tutte le altre controversie inerenti materie ove non sia espressamente sancita come obbligatoria.

17. Il cliente ha diritto a conoscere gli estremi della polizza assicurativa dell’avvocato contratta per la responsabilità civile professionale.

18. Il cliente ha diritto a che l’avvocato emetta regolare fattura con indicazione delle attività svolte o da svolgersi, tenendo da esse distinte le spese vive. Ha altresì diritto ad ottenere, dietro richiesta, prova documentale circa le spese vive sostenute dal professionista richieste nella parcella.

19. Salvo diverso accordo tra le parti, il cliente ha diritto di ricevere immediatamente dall'avvocato le somme che questi ha riscosso per suo conto.

20. Anche se il mandato processuale non è stato ancora firmato, ma l’avvocato ha già (oralmente o per iscritto) accettato l’incarico conferitogli dal cliente, quest’ultimo ha diritto a che la prestazione sia eseguita correttamente, diligentemente e nel rispetto dei termini processuali, onde non vedersi privato della tutela dei propri diritti.

Importanti da ricordare sono poi i seguenti articoli del CODICE DEONTOLOGICO FORENSE, approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta del 31 gennaio 2014:

Art. 9 – Doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza

1. L’avvocato deve esercitare l’attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa, rispettando i principi della corretta e leale concorrenza.

2. L’avvocato, anche al di fuori dell’attività professionale, deve osservare i doveri di probità, dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e della immagine della professione forense.

Art. 10 – Dovere di fedeltà

L’avvocato deve adempiere fedelmente il mandato ricevuto, svolgendo la propria attività a tutela dell’interesse della parte assistita e nel rispetto del rilievo costituzionale e sociale della difesa.

Art. 11 – Rapporto di fiducia e accettazione dell’incarico

1. L’avvocato è libero di accettare l’incarico.

2. Il rapporto con il cliente e con la parte assistita è fondato sulla fiducia.

3. L’avvocato iscritto nell’elenco dei difensori d’ufficio, quando nominato, non può, senza

giustificato motivo, rifiutarsi di prestare la propria attività o interromperla.

4. L’avvocato iscritto nell’elenco dei difensori per il patrocinio a spese dello Stato può rifiutare la nomina o recedere dall’incarico conferito dal non abbiente solo per giustificati motivi.

Art. 12 – Dovere di diligenza

L’avvocato deve svolgere la propria attività con coscienza e diligenza, assicurando la qualità della prestazione professionale.

Art. 13 – Dovere di segretezza e riservatezza

L’avvocato è tenuto, nell’interesse del cliente e della parte assistita, alla rigorosa osservanza del segreto professionale e al massimo riserbo su fatti e circostanze in qualsiasi modo apprese nell’attività di rappresentanza e assistenza in giudizio, nonché nello svolgimento dell’attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale e comunque per ragioni professionali.

Art. 14 – Dovere di competenza

L’avvocato, al fine di assicurare la qualità delle prestazioni professionali, non deve accettare incarichi che non sia in grado di svolgere con adeguata competenza.

Premesso tutto ciò, cerchiamo di capire

Quando scatta il reato di patrocinio infedele

Il reato scatta nel caso in cui l’avvocato (o il consulente tecnico) arrechi danno agli interessi della parte difesa, assistita o rappresentata davanti al giudice, rendendosi infedeli ai propri doveri.

Quali sono i presupposti perché scatti il reato di patrocinio infedele?

Perché si possa parlare del reato di patrocinio infedele:

• ci deve essere un incarico professionale;

• ci deve essere un’attività svolta davanti a un giudice.

Elemento costitutivo del reato è dunque la pendenza di un procedimento davanti all’autorità giudiziaria nell’ambito del quale deve realizzarsi la violazione degli obblighi assunti dal professionista con mandato. Non ci può essere reato, ad esempio, nell’ambito di una procedura stragiudiziale come quella conciliativa di lavoro.

• Ci deve essere un danno per il cliente.

Il reato di patrocinio infedele è previsto dall'art. 380 c.p. il quale afferma che “il patrocinatore o il consulente tecnico, che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all'Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa non inferiore a cinquecentosedici euro”.

La pena è aumentata se il colpevole ha commesso il fatto, colludendo con la parte avversaria oppure se il fatto è stato commesso a danno di un imputato.

Si applicano la reclusione da tre a dieci anni e la multa non inferiore a milletrentadue euro se il fatto è commesso a danno di persona imputata di un delitto per il quale la legge commina l'ergastolo oppure a reclusione superiore a cinque anni.

Il bene giuridico tutelato

La norma si propone di tutelare un bene complesso:

- da un lato l'interesse di carattere pubblico al regolare funzionamento dell'attività giudiziaria, che trarrebbe pregiudizio da comportamenti del patrocinatore contrari ai propri doveri professionali, quali fedeltà, lealtà e correttezza.

- da un altro punto di vista, viene in rilievo anche un interesse "particolare", ossia quello processuale della parte/cliente che subisce un nocumento.

Soggetti attivi e passivi del reato

Il delitto previsto dalla norma rappresenta un reato proprio in quanto il soggetto attivo è "patrocinatore" o "consulente tecnico".

La nozione di patrocinatore ricomprende tutti coloro abilitati a difendere, rappresentare o assistere davanti all'autorità giudiziaria: si tratta di avvocati, praticanti con patrocinio, avvocati dello Stato, ufficiali difensori dinanzi ai tribunali militari.

Per quanto riguarda la persona offesa in senso tecnico da tale reato, questa è stata individuata dalla prevalente giurisprudenza nella pubblica amministrazione nella sua articolazione di amministrazione giudiziaria.

Tuttavia la peculiare struttura normativa della fattispecie definita dall'art. 380 c.p. coniuga il perfezionamento del reato di infedeltà del patrocinatore alla produzione, per fatto commissivo od omissivo, di uno specifico evento costituito da un oggettivo danno cagionato agli interessi patrimoniali o non della parte assistita. La norma “configura la fattispecie come reato necessariamente plurioffensivo, all'amministrazione giudiziaria giustapponendo come persona offesa in via diretta dal reato anche la parte processuale difesa dal patrocinatore infedele" (cfr. Cass. n. 45059/2014).

Affinché possa commettersi il reato è necessario che sussista tra il patrocinatore e la parte un rapporto di assistenza, rappresentanza o difesa assunto tramite il conferimento di un incarico (elettivo o ufficioso, indifferentemente retribuito o gratuito) o comunque della nomina del patrocinatore per lo svolgimento di un’attività. La “parte” privata offesa va individuata in base alle norme processuali, non trattandosi di un mero cliente in senso lato.

Quindi, deve ravvisarsi il reato quando si è in presenza di una condotta infedele del professionista che impedisce alla parte di ottenere i risultati attesi con l’esplicazione di un’attività professionale che risponda ai requisiti della correttezza e della lealtà e che sia affidabile, così da garantire, più in generale, la tutela dell’interesse pubblico al buon funzionamento della giustizia.

Elemento oggettivo

Il reato di patrocinio infedele si concretizza in una condotta, attiva od omissiva, irrispettosa dei doveri professionali che arreca nocumento agli interessi della parte.

L’infedeltà va dedotta dai codici di rito e dalle norme deontologiche dell'ordinamento professionale considerato e la condotta illecita può consistere anche nell'occultamento di notizie o nella comunicazione di notizie false e fuorvianti nel corso del processo.

Essenziale, invece, il danno recato agli interessi della parte, quale conseguenza della violazione dei doveri professionali, il quale “rappresenta dunque l'evento del reato, che non deve essere inteso soltanto come un vero e proprio danno patrimoniale, ma deve essere posto in relazione anche al mancato conseguimento di benefici di natura morale che la parte avrebbe tratto qualora il patrocinatore si fosse comportato lealmente” (cfr. Cass. n. 25700/2012).

La condotta in pendenza di causa

La giurisprudenza è divisa per quanto riguarda la condotta illecita in pendenza di procedimento.

Un orientamento minoritario ritiene che non occorre, per la configurabilità del reato, la pendenza di una causa, essendo sufficiente che “l'esercente la professione forense si renda infedele ai doveri connessi alla accettazione dell'incarico di difendere taluno dinnanzi all'autorità giudiziaria indipendentemente dall'attuale svolgimento di un'attività processuale e finanche dalla pendenza della lite, giacche il pregiudizio in danno alla parte può concretarsi nella dolosa astensione della doverosa attività processuale” (cfr. ex multis, Cass. n. 856/2004).

Maggioritaria, invece, la giurisprudenza secondo cui “per la sussistenza del reato di patrocinio infedele è necessaria, quale elemento costitutivo del reato, la pendenza di un procedimento nell'ambito del quale deve realizzarsi la violazione degli obblighi assunti con il mandato, anche se la condotta non deve necessariamente estrinsecarsi in atti o comportamenti processuali” (cfr. Cass. n. 17106/2011).

Elemento soggettivo

Quanto all'elemento psicologico del delitto di infedele patrocinio, questo può essere individuato nel dolo generico, ossia nella rappresentazione e volizione anche eventuale delle conseguenze dell’evento.

Il professionista viola i propri doveri professionali di diligenza, lealtà e correttezza con consapevole volontà.

Non è necessario il dolo specifico, ossia la specifica volontà dell’agente di recare danno alla posizione della parte assistita, posto che il nocumento agli interessi della parte va ad integrare l’evento del reato medesimo.

Concorso con altri reati

Il reato di patrocinio infedele può concorrere con la truffa, laddove il patrocinatore, con la sua condotta infedele, occultando notizie o comunicando notizie false sul corso del processo, oltre a recare danno alla parte assistita procuri dolosamente a se stesso un ingiusto profitto.

Inoltre, in base alle modalità attuative, il reato di cui all'art. 380 c.p. può concorrere anche con quello ex art. 622 c.p. (rivelazione di segreto professionale) oppure con il reato di cui all'art. 374 c.p. (frode processuale) o 490 c.p. (soppressione, distruzione e occultamento di atti veri).

Paola Pagliari

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